QUANDO ERAVAMO POVERA GENTE (pt.2)
Leggi anche la prima parte: il periodo di riferimento è la fine degli anni cinquanta, quando l'emigrazione nelle Americhe stava per finire e ne iniziava un'altra, quella europea (Germania, Francia, Belgio, Svizzera, Lussemburgo) e nel Nord Italia (Milano, Torino, Genova).
Per imbarcarsi bisognava raggiungere Napoli e da lì prendere il transatlantico per le Americhe o per l'Australia.
A metà degli anni '60 fu sostituito dagli aerei perché più veloci. Per raggiungere il luogo d'imbarco si poteva noleggiare una macchina. Una di queste era la "Fiat 1100 R giardinetta", di proprietà di Umberto Frontera "Savoia". Foto dal web In quegli anni l'economia locale non riusciva a sostenere adeguatamente le nuove necessità familiari. Era pur sempre un'economia ristretta, di piccoli numeri, "casarula". Pertanto l'esodo per lavoro, per necessità, si sposta verso il Nord Italia e verso i Paesi europei. Si partiva: da Paola in treno, dopo aver raggiunto San Giovanni in Fiore e Cosenza; da Crotone per prendere il treno per l'Estero, per Milano, per Torino, ecc. I collegamenti con le città erano garantiti, oltre che dal noleggio, dal servizio pullman della Ditta Romano di Crotone e dalla Ditta Atas probabilmente di Rossano/Cariati (?). Da Savelli partivano due pullman alla prime luci dell'alba e collegavano il Paese con Crotone e con Catanzaro. Un altro collegava Savelli con Cariati. La foto, recuperata qualche anno fa, non rappresenta Savelli, ma l'autobus è simile a quello che collegava Savelli con Cariati. |
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Villaggio Pino Grande anni '70. |
Da quel momento l'economia locale si è mantenuta con le rimesse degli emigrati e con i vaglia postali che arrivavano ogni mese da Milano, da Torino ecc.. e con lo scarso lavoro che proponeva il Paese.
La terra non era più l'ambito desiderio e viene così abbandonata. Le attività artigianali lentamente scompaiono. Ognuno aspetta il richiamo di un amico o di un parente per un lavoro meglio retribuito e più sicuro.
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Dagli anni '60 in poi inizia l'esodo. I treni trasportano nelle città del Nord e in Europa intere famiglie. (Foto dal web). |
Il Paese, piano piano, si é trasformato e ha perso quella dimensione silvo/agro/ pastorale e artigianale che per un lungo periodo aveva sostenuto l'economia locale.
Sono sorte nuove problematiche sia per chi è partito, sia per chi è rimasto.
Entrambi hanno dovuto affrontare situazioni nuove:
- problemi di lavoro, di avere una casa e d'inserimento in nuovo contesto per chi si è allontanato;
- una realtà comunque nuova anche per chi è rimasto; fra l'altro l'indecisione di partire o di restare, il lavoro "alla jurnata" che non dava garanzie e, contemporaneamente, la necessità di soddisfare le esigenze della famiglia.
La trasformazione e l'isolamento hanno modificato, seppur lentamente, il Paese.
Le persone che lo abitavano e che si sono allontanate per cercare opportunità lavorative più sicure, hanno cambiato la percezione di vedere il Paese perché, inconsciamente, stavano cambiando anche loro e stava cambiando il senso di vedere le cose.
Tuttora, chi torna annualmente e chi rimane percepiscono, ognuno secondo il proprio vissuto, che il Paese è cambiato, ma capiscono anche che sono cambiati anche loro, il loro senso di appartenenza, il senso di vedere i luoghi in cui sono nati, il senso della lettura che danno al luogo del cuore.
Il "partente" e "il restante" sono facce della stessa medaglia, perché, in fondo, le origini sono comuni, provengono entrambi dalla realtà sopra descritta.
Si cercano e, a volte, non si capiscono, però gli uni mancano agli altri.(1)
Voglio citare un episodio che si ripete ogni volta che faccio ritorno al Paese e che, penso, identifichi bene i concetti sopra espressi.
Un caro amico, dopo avermi salutato cordialmente con qualche simpatica battuta, quando arrivo a Savelli mi ripete da decenni:
"Vue chi veniti c'aviti e ringraziare pecchì ve tenimu u Paese apiertu"
(Voi che tornate dovreste ringraziarci perché manteniamo il Paese vivo, pronto ad accogliervi)
Dopo averlo salutato anch'io con qualche battuta, rispondo confermando quanto sia vero quello che ogni anno mi ripete. Però poi aggiungo:
"Giusto! Na meraglia a cchine è restatu!!!
Ma natra meraglia va data anche a cchine ogne annu vena"
(Una medaglia a chi é rimasto, ma un'altra medaglia va riconosciuta a coloro che ogni anno tornano al Paese).
Consapevoli di queste verità riprendiamo i nostri discorsi.
Tocca a tutti, coscienti di questa realtà fatta di ricordi, di rimpianti, di isolamento e di abbandono, ma anche di soddisfazioni e di progresso, proteggere il nostro Paese.
Ce lo chiedono le future generazioni . Ce lo ricordano le immagini del passato, ce lo impone chi ci ha preceduto che, con sacrificio e laboriosità, ha permesso lo crescita e la conservazione di Savelli.
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Savelli: IERI nel 1900 |
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Savelli: OGGI nel 2000 |
Nota 1 - Vito Teti, -professore ordinario di Antropologia dell' Unical di Cosenza. Fra l'altro ha pubblicato: Maledetto Sud: Terra Inquieta; Il Senso dei Luoghi; La Restanza ecc..
Ciao Pieri' mi sa che dobbiamo tornare alle nostre origini come si stanno mettendo le cose buona giornata.
RispondiEliminaRosa
concordo sulle considerazioni dell'articolo.
RispondiEliminaChiara
Meraviglioso Piero grande lavoro.
RispondiEliminaRosario
Bellissimo e realistico articolo. Davvero toccante la poesia del Capurice!
RispondiEliminaF. Ch.
Stare in compagnia della mia comunità e meglio di una terapia
RispondiEliminaStasera vado a Savelli, quando posso tre volte l'anno.
RispondiEliminaLa tristezza e malinconia che mi prende quando cammino ,,ntre minelle,, non ve lo immaginate, mi si stringe il cuore a vederlo così.
Speriamo in futuro migliore.....
Ma ho dei dubbi.
La vedo dura.
I miei nonni mi racchiudevano tutto quello che tu hai descritto con una poesia che ti scrivo in italiano perché non saprei scriverla in dialetto
RispondiElimina"Io non mi vergogno di essere contadino,
vergognatevi voi che non lo siete,se in tavola avete pane e vino , queste mie mani ringraziar dovete.
Son cotte dal sole nere e callose ma portano il vanto di mani operose ,lavorano sempre e mai sono stanche ma portano il vanto di dieci mani bianche..."
Savelli poteva vantare di avere grandi lavoratori in tutti i settor
Lucrezia
Ciao Piero, belle queste foto dei bei tempi passati.
RispondiEliminaMimmo
Ciao, quello che hai descritto e un problema di tutto il sud . Tra qualche anno alcuni paesi come Savelli, Mandatoriccio,Campana Scala coeli ecc sono destinati a diventare cattedrali nel deserto cioè senza nessuno
RispondiEliminaRosario da Mandatoriccio
ciao Piero
RispondiEliminaRiflessioni che rimuginavi da tempo!!
Argomento estremamendifficile da affrontare in quanto ha sfaccettature e visioni diverse.( purtroppo)
Un minimo comune denominatore potrebbe essere un progetto ed uno studio su come e su dove lavorare per invertire il trend negativo.
Bisogna investire sui giovani ed i giovani devono investiree sulla loro terra.
Non siamo più negli anni 60 con una emigrazione diffusa, oggi si cerca di lavorare al contrario, ritorno alle origini e riscoperta delle proprie traduzioni e della propria cultura,sulle cui basi investire per creare nuova occupazione.
( vedi progetto per la riscoperta dell'allevamento del baco da seta a San Floro.)
L'arte della tessitura in passato era un aspetto primario per l'economia delle nostre zone.
il PNRR è nato per questo scopo chissà se a Savelli hanno lavorato e presentato qualche progetto .
buona serata
Pippo
Complimenti vivissimi per la documentazione storica e fotografica. È sempre bello ricordare la storia e ritornare al proprio paese, dove risiedono i propri familiari e i ricordi del passato. In ogni modo gran parte di noi per vari motivi, di studio, lavoro e affettivi non risiede fisicamente nel proprio paese, ma nel cuore il proprio paese è sempre presente. Auguro a chi vive a Savelli di esserne orgoglioso della propria appartenenza, anche se, purtroppo, esistono vari disagi, comuni, comunque, a gran parte del Sud. Ne so qualcosa circa il Molise. Un carissimo abbraccio a tutti i Savellesi in Calabria e sparsi in Italia e nel Mondo. Tonino Arabia
RispondiEliminaIl tuo racconto di quando eravamo povera gente é davvero toccante
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