"U CISTARU"

MASTRO ANTONIO CARUSO 
"CISTARU" (CESTAIO)

Agli artigiani savellesi: fabbri, sarti, falegnami, cestai, calzolai, barilai, orefici.., che con le loro abilità e la loro laboriosità  fecero crescere il Paese, Pericle Maone volle dedicare una serie di "quadretti" che, leggendoli ora, ci riportano verso una realtà ormai lontana.

Inizialmente la loro presenza era stagionale perché provenivano da altri paesi, in seguito, dopo aver formato una famiglia nel nostro paese, è diventata fissa.

Gli artigiani offrivano i loro servizi alla comunità con cordialità e perizia. Queste persone, lavorando stabilmente a Savelli, hanno dato, ai giovani di allora, la possibilità di imparare un mestiere.

Infatti presso la bottega artigianale, spesso, insieme "allu Mastru" (al Maestro), c'erano "i  riscipuli" (i discepoli, gli apprendisti); ragazzi che, dopo la scuola, frequentavano i laboratori dei sarti, dei falegnami, dei fabbri ecc... per imparare un mestiere.

I genitori di allora dicevano ai loro figli:
" Quando niesci ra scola vate ro mastru a te mparare; ca pue, quandu si rande, te guaragni nu muorzu e pane". (1)

" Dopo l'uscita da scuola, ricordati di andare dal Maestro; perché, quando sarai adulto, potrai guadagnarti da mangiare"

Il nostro paese agli inizi del '900 era pieno di artigiani; ad essi e a tutti quelli che con il loro lavoro contribuirono alla crescita della nostra comunità Pericle Maone, nel libro "Galleria di Vecchi Artigiani Savellesi", fa la seguente dedica:

"In omaggio 

ai miei Concittadini

perché ricordino

i loro Avi più laboriosi

quando

nell'ordinamento sociale

il lavoro

era considerato 

una distinzione morale.


Uno degli artigiani di quel periodo fu Mastro Antonio Caruso, conosciuto come "mastru Ntuoni u spurtaru" (Maestro Antonio, il fabbricante di sporte, il cestaio). 

Era nato a Savelli, ma il padre, Giovanni, trasferitosi da Conflenti (CS), si era stabilito nel nostro paese ed aveva sposato tale Chiara Frontera.

Mastro Antonio Caruso, il cestaio, aveva il suo piccolo laboratorio vicino alla Chiesuola, a pochi passi da un altro artigiano: mastro Antonio Morrone, il pedacese, bottaio.

                                        


Il cestaio
(Foto dal web)

Spesso, l'autore di questo racconto, ragazzo, si fermava ad ammirare l'ingegnoso lavoro del due artigiani che lavoravano con abilità e perizia il legno.

Mastro Antonio  indossava sempre un grembiule di pelle, detto "mantera" (2) che gli serviva per proteggersi durante la lavorazione del legno, mentre usava il suo coltellaccio per rendere più sottili le liste di legno.

"A Mantera",
Grembiule di cuoio usato dal fabbro, dal mietitore, dal cestaio, dal calzolaio

La lunghezza delle liste era commisurata alla grandezza delle ceste, la larghezza variava da qualche centimetro al decimetro, mentre lo spessore non superava il millimetro. 

Un lavoro di abilità, di pazienza se si pensa che si iniziava a lavorare da un grosso tronco d'albero fino ad arrivare a liste di piccole dimensioni.

Quando le "stelle" (liste), così le chiamava lui, erano pronte, le immergeva in una tinozza d'acqua per renderle tenere e pieghevoli pronte per essere lavorate.

Mastro Antonio costruiva vari tipi di "ciste" (ceste) tutte molto solide e robuste, di varia capienza fino a raggiungere un tomolo (45 litri). 

Ceste di varia misura

Erano largamente usate dalle donne del popolo perché servivano per il trasporto di varie merci. Le portavano in  testa poggiandole sul solito cèrcine ( "a curuna"), panno raccolto a forma di ciambella che si sistemava sulla testa prima di sistemarci un carico.

Nelle ceste si trasportava il pane caldo dal forno a casa, i panni da lavare al fiume, le castagne appena sfornate ecc...

Anni '50

Anni '80
Costruzione di cestelli
2005
Le ceste delle nostre nonne adesso vengono usate per portare i pani votivi in occasione della Festa della Madonna delle Grazie, il 15 Agosto. 

2005

Gli intrecci erano particolarmente curati per dare robustezza al prodotto.
Il cestaio costruiva anche le "cannizze",
cannicci per mettere a seccare fichi, frutta in genere, funghi.
Servivano anche  per allevare il baco da seta.

Costruiva anche ceste piccole, leggere (" e cistelluzze"), usate dalle ragazze per andare all'orto e che venivano riempite di verdure, frutta, fiori.

Sporta o cesto fatto di vimini, di canne o listelli sottili.
Veniva usata per trasportare alimenti di vario genere.


Anni '50
Scampagnata.
Nelle foto c'è la cesta della foto precedente

Fine anni '50
"u panàru" (il paniere) veniva usato per la raccolta delle castagne, dei funghi ecc.
(Nella foto da sinistra: Elena Pontieri, Maria Pontieri) 


Il nostro artigiano, per contadini e artigiani, costruiva "fiscini", sporte bislunghe che si potevano legare sulle fiancate del basto dell'asino dalla capacità di circa 45 litri, potevano essere forniti anche di coperchio.

Asino con "fiscini".
(Immagine dal web)

Per i pastori  realizzava le "fiscelle", dei cestelli di vimini, a forma cilindrica, dove i pastori mettevano la ricotta e i formaggi.


Anni '80
" A Petturina"
La ricotta viene messa nelle "fiscelle".


Per gli amici e per le donne costruiva graziosi "fiscinielli", cesti più piccoli, servivano per portarsi il companatico in campagna oppure venivano usati dalle donne come cofanetto per custodire le cose preziose.

Dalle mani di Mastro Antonio uscivano anche: 

- "spurtunielli", piccoli cesti di vimini per le primizie, per conservare salami, ulive secche; 

- "spurtuni" o "granari", grandi cesti per la conservazione dei cereali e del grano.

Quando non era nel suo laboratorio andava in giro per i boschi della Sila per procurarsi gli alberi di cerro, di castagno, di pino, adatti alle sue lavorazioni. Inoltre raccoglieva grossi fasci di polloni ("Jettuni"), per cerchi e "vrinchi" (vimini, fruste pieghevole per fare cesti e panieri).

Oggi i lavori del cestaio sono da considerarsi oggetti d'antiquariato.

Una volta in pensione, Mastro Antonio si vedeva spesso passeggiare verso la fontana della "Pitinella" dove governava il suo orticello .
Si spense a 86 anni.
La sua arte non ebbe successori, ebbe un unico figlio che chiamò Giovanni e che preferì fare il sarto  maturando una grande abilità nel fare vestiti. 

Il suo laboratorio era in via Roma di fronte alla fontana e "zu Pasquale". (3)

1983
"Zu Luvice e Dosa"
(zio Luigi "Dosa")
Esposizione dei lavori artigianali al mercato del paese.
E' stato uno degli ultimi artigiani che, allora ultraottantenne, si dedicava ancora alla costruzione di panieri, ceste ecc... 


Nota 1) La vocale "a" è scritta in modo diverso perché va pronunciata " nasalizzata"

Nota 2) Mantera- grembiule di cuoio usato dai fabbri, dai mietitori, dai calzolai. 

Nota 3) Il racconto è tratto dalla "Galleria di Vecchi Artigiani Savellesi" di Pericle Maone

Commenti

  1. Prezioso come al solito, ottimo lavoro
    Rosario S.

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  2. Grazie,interessante, saluti
    T. M.

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  3. Mi sono ricriatu...
    leggere questi racconti mi riporta indietro di 70 anni. Ma è quasi ieri.
    Carlo Danza

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  4. Grazie Piero belle storie del nostro Paese come sempre. 👋
    Gino M.

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  5. Grazie; interessante (e toccante) come al solito.
    f. ch.

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  6. Ricordo con piacere quanto i nostri artigiani, non solo cestai, ma sarti e sarte, magliaie, muratori, calzolai, ecc. che nel pomeriggio insegnavano il mestiere alle giovani e ai giovani, che o volevano imparare un mestiere o non avevano le possibilità economiche per continuare gli studi. Io conservo una cesta fatta da un cestaio a Savelli e delle rappresentazioni in scala di oggetti casalinghi. Buon lavoro Piero, continua a farci rivivere le consuetudini del nostro Caro Paese. Tonino Arabia

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  7. Quanti bellissimi ricordi.complimenti.

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