A FERZA
Il Carnevale nel nostro paese, una volta, aveva dei riti molto particolari che meritano di essere ricordati per i suoi aspetti un po'complessi ma divertenti.
C'erano:
- Il Carnevale degli adulti che culminava con una rappresentazione nelle piazzette del paese ,"A Ferza" ( farsa) (1), e quello dei ragazzi che andavano in giro per le case per recuperare qualche dono.
- L'allestimento della " Vuolica" (l'Altalena) all'aperto e nei "catoja"(nelle cantine) (2);
- La costruzione di un rozzo strumento musicale, "U zuchi" (3), con materiale di recupero.
Adesso che anche il costume tradizionale è scomparso, la festa offre solo l'occasione a qualche ragazza di indossare l'abito di "pacchiana" (4), ereditato dalle nonne, per un'estemporanea esibizione. Gli altri aspetti sono nei ricordi delle persone diversamente giovani.
Andiamo con ordine e e cerchiamo di raccontare il Carnevale di una volta..
Gli adulti preparavano un pupazzo di paglia che rappresentava il Carnevale morente, lo caricavano su un asino e lo portavano in giro per il paese insieme a una variegata "banda musicale".
I "Ferzari" ( persone mascherate che recitavano versi in rima) (5), addobbati con abiti usati, con "zinzuli" (stracci), con gobbe finte, trucchi approssimativi e altro, si fermavano nelle piazzette rionali (rughe), dove un gruppo di curiosi era pronta ad ascoltare "a Ferza" (la farsa).
Anni '50 - "A Ferza"- Sulla destra, sopra un asino, il pupazzo di Carnevale con il vestito di "Pacchiana". "Cantastorie" Domenico Astorino (Zarrettu). |
La farsa era una raccolta di stornelli in rima, ricchi anche di riferimenti piccanti, che riassumevano i principali avvenimenti del paese accaduti durante l'anno. Fatti, malefatte, pettegolezzi noti e meno noti che suscitavano ilarità e curiosità nelle persone che ascoltavano e, contemporaneamente, suscitavano imbarazzo e vergogna in quelle che si sentivano coinvolte,
I nomi non venivano mai fatti, però facilmente si capivano i protagonisti cui facevano riferimento gli stornelli.
Anni '60 - "A Ferza"- Sulla destra il fantoccio di Carnevale. "Cantastorie" Salvatore Grande (Zarrettu). E' possibile riconoscere qualcuno nella foto... (io mi sono riconosciuto). |
La satira carnevalesca prendeva in giro tutti: una volta, le mogli degli "americani" (emigrati nelle Americhe), i politici locali, i signorotti, i commercianti, gli artigiani ecc.. Insomma non risparmiava nessuno.
Infatti quando qualcuno si trovava coinvolto in qualche episodio spiacevole... subito esclamava: "Mo' me mintanu alla Ferza" (Adesso verrò citato nella farsa).
Durante il giro per il paese "i ferzari" raccoglievano vari doni: salsicce , soppressate, formaggio, danaro che servivano per il cenone finale durante il quale veniva bruciato il pupazzo di Carnevale fra grida, lamenti, pianti e vino a volontà.
Ecco qualche verso della Farsa degli anni '50 di Domenico Astorino (Zarrettu).
-1-
Al suono di questo corno
state tutti ad ascoltare
Simu venuti re luntanu
ppe bbe rire : Buon Carnelevare!
Al suono di questo corno
fate tutti attenzione e ascoltate,
Siamo venuti da lontano
per dirvi: Buon Carnevale!
-2-
Ma standu a cominciare,
o compaesani belli,
attenti ca ve cuntu
le malefatte re Savelli.
Stiamo per cominciare,
o compaesani cari e belli,
fate attenzione perchè
sto per raccontarvi
le malefatte di Savelli.
[...]
-24-
Amici tutti cari,
pecchi siti re sangu puru,
ccu core ve salutamu,
e ne virimu l'annu ventùru!
Amici tutti (a me ) cari,
perché avete il sangue puro,
vi salutiamo con vero cuore,
e ci vediamo l'anno venturo.
Questo tipo di rappresentazione è durata fino agli anni '60, poi, negli anni successivi, è stata fatta qualche sporadica rievocazione durante i mesi estivi.
I ragazzi, imitando gli adulti, con maschere e vestiti recuperati, con la facce annerita dal carbone e con l'aiuto di uno strumento musicale rudimentale da loro costruito, "u zuchi" o "zuchillu", andavano di casa in casa ad improvvisare balli e a cantare stornelli. Anche loro ricevevano salsicce, dolci, pancetta ecc...che consumavano poi in compagnia.
Il Carnevale dei ragazzi: andavano in giro per le case |
Per costruire "u zuchi" si usava "u stuppiellu" (6) (piccola tinozza di legno) che veniva coperta con il velo pleurico del maiale formando una specie di tamburo. Al centro veniva sistemata una cannuccia lunga circa 30 cm. che, strofinata con le mani bagnate o con panno, produceva un suono cupo simile al grugnito del maiale.
Zuchi oppure zuchillu: in altre zone si può chiamare putipù o anche caccavella, rustico strumento musicale di latta, di terracotta o di legno |
I ragazzi accompagnavano questo suono di questo rustico strumento con questa canzonetta:
- Zuchi, zuchillu,
cchi ba' caminandu?
- Vaju cercandu
na mugliere bella;
u' mmi nde curu
ch'eri piccirilla,
abbasti chi me jùngia
a lla majilla...
- Zuchi, zuchillo,
cosa fai in giro?
- Vado in cerca di una bella moglie:
non importa che sia piccola di età e di statura,
l'importante che giunga alla madia e riesca a fare il pane...
In occasione del Carnevale, per aumentare la possibilità di svago e se le giornate erano belle, veniva allestita, sugli alberi intorno al paese e nei "catoja" (cantine) "a vuolica" (altalena): |
Durante il lancio e il rilancio dell'altalena, in coro, veniva cantata una bella canzonetta popolare, senza senso, la cui prima strofa è:
E lla vuolica re la cerza (7)
E de la cerza la pampina va...
Mina llu vientu e lla mia bella rorma,
e va rorme, amore mio, va',
e mina llu vientu e lla...
Mina llu vientu e lla vola e lla gira,
la gira ella vola la pampinà,
e mina llu vientu e lla...
E l'altalena della quercia,
e della quercia la foglia va...
tira il vento e la mia bella dorme,
e dormi pure amore mio...
e tira ilo vento e la...
Tira il vento la gira e la rigira
la rigira e la fa volare
la gira e capovolge la foglia...
tira il vento e la....
1979 - Coro e suonatori durante la registrazione della "Vuolica ra cerza" a cura della Rai. |
Anche durante le giornate di Primavera veniva allestita l'altalena sia all'aperto che nelle cantine.
Il Carnevale si concludeva nelle famiglie con il consumo della "jelatina o suzzu" (gelatina) (8), cibo tradizionale preparato durante la mattazione del maiale e conservato per l'occasione.
"u suzzu o gelatina". Piatto tipico da consumare nel periodo di Carnevale. Le parti del maiale usate per questo scopo: orecchie, muso, coda ecc.., una volta cotte, venivano sistemate in "capaselle" e in "suppere" (vasi di terracotta verniciata e forniti di coperchio) e lasciate fuori dalla finestra a raffreddarsi. Storie di Savelli è su Facebook e su Instagram @storiedisavelli |
Nota 1) Ferza : Farsa, manifestazione di Carnevale in cui si raccontano frottole, episodi e fatti di vita di paese.
RICORDO CHE LA LETTERA "F,"SCRITTA CON CARATTERE DIVERSO VA LETTA COL SUONO ASPIRATO COME L'ACCA TEDESCA O COME LA PAROLA MESSICANA GUADALAJARA.
Nota 2) Catoja (cantine)- singolare "Catuaju" = vano al pianterreno, cantina, luogo per le provviste, stalla.
Nota 3) Zuchi oppure Zuchillu = in alcune zone Putipù oppure Caccavella. Antico strumento usato nel periodo di Carnevale. Pericle Maone nel suo libro fa una descrizione dettagliata su come si può costruire.
Nota 4) Pacchiana : costume tipico savellese che le donne indossavano intorno ai 16 anni.
Nota 5) Ferzari: erano gli organizzatori della farsa di solito composta da: cantastorie, colui che recitava gli stornelli; suonatore di chitarra; suonatore di fisarmonica, suonatore di mandolino; suonatore di corno; conduttore dell'asino su cui c'era il fantoccio; e altri...Tutti con vestiti carnevaleschi.
Nota 6) Stuppiellu: contenitore di legno senza fondello superiore, veniva usato come unità di misura per piccole quantità di granaglie, di cereali. Ha la capacità di 7 litri, 1/8 di un tomolo (56 litri). Altre misure erano: "a menzarola" 1/2 del tomolo (28 litri); "u quartu" 1/4 del tomolo (14 litri): "u misuriellu" 1/16 del tomolo ( 3,5 litri); "a coppa" 1/32 del tomolo (1,75 litri).
Nota 7) A vuolica ra cerza: canto festoso diffuso ai principi dell'800 nel napoletano che si rifà a un'antica "Villanella" (canzone profana napoletana) del '500.
nota 8) A jelatina o suzzu: la gelatina, piatto tipico della tradizione savellese ,viene preparata con le parti estreme del maiale: lingua, coda, piedi, muso, orecchie, ecc...Queste vengono fatte bollire in un brodo con: sale, menta, alloro aceto...La ricetta completa nel 2° volume di Pericle Maone.
Bibliografia: Savelli nella Tradizione e nella Storia vol. II di P. Maone; Il Belpaese di G.B. Maone; Ricordi dell'Età Felice di Pietro Arcuri; Vocabolario di Lingua calabrese di Gino Gentile.
Un altro tassello arricchisce la rievocazione degli usi e costumi savellesi, onorando così la memoria di chi vi ha contribuito e non è più tra noi.
RispondiEliminaGrazie Piero io mi ricordo " a hferza" di Fiorini, non faceva sconti a nessuno. Spero che un giorno rileghi tutto in un libro.
RispondiEliminaGino Manfredi
Bellissimo rivedere le nostre usanze e soprattutto rivedere persone, attrezzi e cibi tipici, tra cui "u suzzu". Complimenti per la documentazione. Tonino Arabia
RispondiEliminaCiao Piero adesso non si fa più niente.... buona serata.
RispondiEliminaRosa
Grazie tanto mi fa molto Piacere.
RispondiEliminaAngela Lio
Buongiorno,ricordi bellissimi del nostro passato, ho guardato quelle foto e riconoscere alcune persone mi ha emozionato tanto. Grazie Piero.
RispondiEliminaMena Tallarico
articolo sincero e convincente ma pieno di tristezza per un passato che non c'è piu'
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