A PUTIGA RO VINU (L'OSTERIA)

I savellesi hanno sempre apprezzato il buon vino e ne sono stati ottimi consumatori, pertanto, laddove è stato possibile sfruttare il terreno, hanno coltivato la vite.

Al momento opportuno, il vino eccedente il fabbisogno familiare veniva venduto al pubblico che, avvisato attraverso un bando pubblico o il passaparola, si precipitava ad assaggiare "u vinu casarulu" (vino di produzione propria), sicuramente più genuino di quello venduto nelle osterie. Di solito era una quantità limitata, ecco perché "a vutte" (la botte) veniva presa d'assalto dai bevitori:

"A Vutte"

Sentìti bandu chine vo b-vinu

alla vutte e zu Vicenzinu.

Ntra minelluzza e Franciscu e Musca,

cce na porticella ccu nna frasca,

llari se vinda nu buonu vinu,

è b-vinu e vutte e r'è genuino:

U sabatu tutti a sse mbriacare

e llu corsu corsu tu t'a scanzare. 

I mbriachi ra vutte e zu Vicenzinu, 

su stai attientu ncuollu te caranu.

U corsu para nu rande telaru, 

ca i mbriachi vau de muru a muru,

I vivituri, chilli menzi brilli ,

cantanu e vie vie tanti sturnelli.

Gino Gentile

(Da Savelli 'N Poisia - 1989-)


La botte

" Ascoltate questo bando, chi vuole vino

(può andare) alla botte di zio Vincenzino.

Nel vicoletto di Francesco " e Musca",

in questo posto si vende vino buono,

è vino (locale) di botte  ed è genuino.

Il sabato tutti a ubriacarsi

e lungo la strada principale del paese ti devi spostare.

 Gli ubriachi della botte di zio Vincenzino,

 se non stai attento ti vengono addosso.

La strada sembra un grande telaio 

perché gli ubriachi vanno da un muro all'altro.

I bevitori, quelli un po' brilli, 

cantano per le vie tanti stornelli-

cantano per le vie tanti stornelli"

 

"U vinu casarulu" (il vino locale), prima di essere consumato, veniva "trivillatu", cioè veniva fatto un piccolo buco alla botte per assaggiarlo e verificarne la qualità, poi veniva chiuso con un piolino di legno ("u trivillu").

Poi, in occasione di particolari avvenimenti  festosi nella famiglia (battesimo, cresima, fidanzamento, matrimonio) il vino veniva spillato e offerto a familiari, amici ed invitati.

Inizi anni '80
Ecco il momento in cui  vino della botticella viene spillato in occasione di un matrimonio.
Da sinistra;
- Veterinario Lamanna 
- Umberto Pontieri (Cardacchiu)
- Don Valeru
Maria Tallarico
- Francesco Rotundo (Paulinu il padre. Morrone la madre)


Però il vino prodotto a livello locale non poteva bastare a soddisfare la richiesta degli abitanti del paese, ecco perché nel tempo nacquero numerose osterie che vendevano vino proveniente da altre zone.

L'osteria di una volta,
ambientazione ricreata presso il Museo contadino di Crema (CR)

 L'osteria , "a Putiga ro Vinu", era un  luogo molto frequentato.

Era il punto di riferimento per passare qualche ora di svago, per giocare a carte, per incontrare gli amici, dopo una giornata di duro lavoro, nei campi, nella botteghe artigianali, nell'edilizia, per scambiarsi esperienze sulle coltivazioni dei vari prodotti, sull'allevamento del maiale ecc...

Carte da gioco napoletane usate per le partite di scopa, briscola e tresette


Principalmente era il posto dove poter bere in compagnia, non sempre in maniera moderata. Certamente non mancavano le discussioni animate quando si alzava troppo il gomito. Era frequentato solo da uomini e per questo era il punto di riferimento per cercare un amico o una persona che poteva essere di aiuto nei campi o in altri lavori. 

Ricordo solo una donna che frequentava la bottega di mio nonno, era alquanto trasandata, vestiva in modo molto dimesso e beveva il vino con piacere. Veniva chiamata "a Piciurda".

Nell' osteria ci si confrontava sulle tecniche di coltivazione, su come fare il vino, sulla raccolta delle olive, si parlava delle battute di caccia, della raccolta dei funghi, si raccontavano avvenimenti del paese... 

Gli episodi che vedevano coinvolta la persona che raccontava erano evidenziati con enfasi e con orgoglio, tali da far sembrare le vicende valorose e compiute con  grande abilità. L'effetto del vino aiutava a trovare le giuste parole. 

Forse per questo motivo, storie, fatti, aneddoti mi vedevano attento ascoltatore quando andavo ad aiutare mio nonno "alla putiga" in via Duca degli Abruzzi.

La bottega di mio nonno era chiamata " A Putiga e Petruzzu u Cardacchiu".

Anni '50
Mio nonno, Pietro Pontieri "Cardacchio" in versione macellaio con l'agnello supra "a cupa" (panchetto usato dai macellai per sgozzare ovini)

All'interno dell'osteria di mio nonno c'erano: due tavoli grandi e uno più piccolo, due panche, tanti sgabelli di legno ("i cipparielli"), il bancone per la mescita e tre grandi botti poste su due grosse travi appoggiate sopra tre robusti cavalletti.

"u cippariello"
Ce n'erano tanti nell'osteria di mio nonno

Il bancone aveva un cassetto ("u tiraturu") dove veniva conservato l'incasso della giornata.
Le monete venivano messe in una ciotolina di latta ("chiccariellu" o "cannatiellu") , invece in un  quaderno nero ("u quarernu ra crirenza"), si scrivevano i nomi delle persone che avrebbero pagato quando ne avevano la possibilità.
Il conto veniva saldato in occasione di qualche raccolto, nel momento in cui c'era qualche entrata oppure offrendo al negoziante la propria disponibilità per un eventuale lavoro nei campi o nell'edilizia.
Non mancavano, fra i clienti, "i mali pagaturi" (i cattivi solventi) e neanche i vagabondi, i più assidui frequentatori delle osterie, i quali, ad una eventuale proposta di lavoro, rispondevano sempre negativamente.
A costoro gli anziani, col bicchiere di vino davanti, schiacciando con un dito una narice, recitavano questa filastrocca che voleva irridere la persona con poca voglia di lavorare :

"Sacciu na canzunella curta curta

mi l'ha 'mparata patrimma 

ccu na nasca,

si vuogliu pane

mi 'nde vajiu abbuscu

sinnò vajiu appizzutu 

canne masche "

(sono le canne più dure a differenza di quelle dolci)


"So una canzoncina corta corta

me l'ha insegnata mio padre

con una narice otturata,

se voglio del pane

 me lo vado a guadagnare

altrimenti vado a fare la punta

alle canne mascoline".  

 

Alle pareti della cantina di mio nonno erano appesi:  un quadro che rappresentava i giocatori di carte in un' osteria e una foto.
Il quadretto di alluminio con la foto era stata appesa al muro da mio padre per riconoscenza verso "zu Daniele", un ex ergastolano che, una volta scontata la pena, aveva fatto il sacrestano in paese. La sua storia veniva spesso raccontata dai frequentatori più anziani.

Le travi erano di legno, sostenute trasversalmente, da una trave più grossa ("u sarcinaru") (1).

Gli arredi erano essenziali, non c'era riscaldamento. Il braciere in mezzo al locale emanava un tepore che neanche si percepiva, il vino di 13 gradi illudeva gli avventori di un calore che non c'era.

In seguito mio padre  fece installare una stufa artigianale che funzionava a segatura che andava a prendere dal falegname. Pertanto l'ambiente diventò più confortevole e ciò era apprezzato dalla clientela, specialmente durante i rigidi inverni.

All'esterno, l'osteria  non aveva un'insegna, ma una scritta di vernice rossa : "VINO", appena visibile, fatta da mio nonno. Accanto alla scritta, sopra la porta, una fioca luce che si accendeva di sera che avvisava gli avventori che "a putiga" era aperta.

Accanto alla porta d'entrata c'era una gancio di ferro ("a vuccula") a cui i contadini, ritornando dalla campagna stanchi, attaccavano l'asino per poter consumare un bicchiere di vino con tranquillità.

"Damme nu bicchiere e vinu ca m'asciucu i sururi"

"Dammi un bicchiere di vino così mi passa il sudore ( mi passa la stanchezza)"

oppure:

"Damme nu bicchiere e vinu pecchì u vinu fa sangu"

"Dammi un bicchiere di vino perché il vino fa buon sangue"

era la richiesta  dei contadini, al ritorno dai campi, che facevano "allu putigaru" (all'oste) nell'ordinare il vino, seduti sulla trave, di fronte alla porta della cantina.

Foto anni '30/40

.

Nell' osteria di mio nonno si vendeva: vino, birre, gassose, aranciate della ditta Frontera di Savelli.

Il vino veniva venduto sfuso in bicchieri da un quarto di litro, oppure servito "'ntre cannàte" (nel  boccale di argilla), dopo essere stato misurato con gli appositi contenitori: il quarto di litro, il mezzo litro e il litro.

" a cannàta"
Il boccale di argilla veniva usato nelle osterie per servire il vino ai tavoli


 Le misure di capacità usate nelle osterie.
Tutte le unità di misura usate da commercianti e artigiani erano sottoposte periodicamente  a verifica da parte del "Verificatore", un funzionario dell'Ufficio Metrico Provinciale(2)


I vino veniva spesso consumato schietto, a volte mischiato con la gassosa. 

Di solito la richiesta era:

"Portami tri quarti e na gazzosa"

"Portami tre quarti di vino e una gassosa".

Il tutto veniva mischiato nella brocca.

Ciò per poter mitigare l'alta gradazione, così da poter bere altri bicchieri.


Pietro Piro

"Pastilli" (castagne sbucciate, secche) (3), ceci, lupini, pezzettini di formaggio erano  "i spizzicarielli" (assaggini, spuntini), spesso consumati in compagnia di amici e di un boccale di vino.

Il sabato sera e in occasione delle festività le osterie erano molto affollate anche per il ritorno di quanti lavoravano lontano da casa : pastori, "accurdati"(4) ecc..

Queste persone vivevano con ansia il momento del ritorno in famiglia, dalla moglie, dalla fidanzata. 

Questa filastrocca sintetizza l'umore del ritorno a casa di chi è stato fuori paese a lavorare:

"U Sabatu se chiama  

allegracore

ppe chine tena

na mugliere bella.

Chine l'ha brutta 

le scura llu core 

e miegliu ca u sabatu

nun 'bena".


"Il Sabato si chiama

cuore allegro

per chi ha 

una moglie bella,

Chi l'ha brutta

ha il cuore scontento

ed è meglio che il sabato

non faccia ritorno a casa".

Non mancavano però di recarsi in osteria per stare con gli amici e bere qualche bicchiere.

Agli assidui frequentatori delle osterie veniva spesso ricordato questo detto:


"l'uominu quarantinu

 lassa a mugliere e va allu vinu"

"L'uomo che ha raggiunto i quarant'anni 

trascura la moglie e si dedica al vino"


Il vino consumato in paese proveniva da Melissa (KR), ma principalmente  da Cirò (KR). 

La casa vinicola che riforniva di vino tutto il territorio di Savelli e le sue varie osterie era la Ditta Diego Porti e Figli di Cirò Marina. 

Una volta al mese o, a seconda del consumo, anche prima, la Ditta Porti arrivava con un camion che trasportava botti dalla capacità di quattro barili ciascuna, poco più di cento litri e riforniva puntualmente le osterie del paese e anche quelle dei paesi circostanti.

Le botti che portava la Ditta Porti erano molto più grandi di questa (foto dal web)

La gestione dell'osteria di famiglia nel 1960 passò da mio nonno a mio padre a cui, durante il tempo libero e le vacanze, davo anch'io una mano.
L'attività di famiglia cessò nel 1969 con la partenza a Milano di mio padre e del sottoscritto. 


Numerose era le osterie nel paese, ecco l'elenco delle cantine che, a mia memoria, ricordo. Il periodo di riferimento è dagli anni '50 in poi.
Alcune vendevano solo vino, altre anche generi alimentari. 

1) "A Putiga e Natalicchiu", nella  via 1^ a destra della salita di via Cavour:

"Putiga e Mastru Natale" o "Natalicchiu"
La porta ai piedi della scale era la porta d'entrata

"Natalicchiu"
da pensionato accano alla porta della sua osteria

2)  "A Putiga e Petruzzu u Cardacchiu", via Duca degli Abruzzi;

"A Putiga ro Cardacchiu"
nel locale accanto c'era la macelleria

3) " A Putiga e Vecchiu", via Leopardi, Conca d'Oro;

 " A Putiga e Luigi Vecchiu"
Prima c'era un fabbro "Franciscu Vecchiu"

4) "A Putiga e Mugnasca", una volta partito per l'Argentina è diventata "a Putiga e Fruntera", vicolo a sinistra della farmacia (porta marrone);

"A Putiga Fruntera"
era situata fra la farmacia e la casa alla sinistra. 

5) " A Putiga e Vicienzu Capichiattu" via Roma;

"A Putiga e Capichiattu"

6) " A Putiga e Umberto Levatu", via Roma angolo vico Rose;

"A Putiga e Umbertu Levatu"
Vendeva anche generi alimentari, oltre al vino sfuso

7) "A Putiga e Peppe Anania", via Roma, vicino la fontana

"A Putiga e Peppe Anania"
Entrata dove adesso c'è la porta verde

8) "A Putiga e Pitazzu"

"A Putiga e Pitazzu"
Sul retro aveva anche il campo di bocce. 

9) "A Putiga e Casciotta"

" A Putiga e Casciotta"
In largo Vulcano, dietro la Chiesuola, c'era anche un fabbro.
da qui il nome dato a questo spazio. 

Alcune di queste attività hanno avuto durata più breve rispetto alle altre perché, col tempo, le mutate condizioni socio-economiche hanno indotto i negozianti a cambiare lavoro o ad emigrare e quindi a chiudere l'esercizio commerciale. 

Alcuni locali delle vecchie osteria sono tuttora abbandonati, altri sono stati riconvertiti ad abitazioni, alcune di esse vengono usate per brevi periodo all'anno.

I luoghi che una volta erano pieni di gente, dove regnavano le discussioni, le urla, le risate, lo svago.  adesso emanano un silenzio che fa più clamore delle persone che li frequentava.


Scrivete nei commenti eventuali correzioni, precisazioni, integrazioni ecc...

 

___

Nota 1) - "sarcinaru" : trave che si mette di traverso rispetto alla travatura del pavimento. ( La seconda "a", scritta con carattere diverso, va letta leggermente nasalizzata). Gino Gentile: Vocabolario di lingua Calabrese)

Nota 2) - " U Verificatore": Il verificatore aveva il compito di controllare  tutto ciò che veniva usato negli esercizi pubblici per pesare, per vendere, per misurare...Le operazioni di controllo venivano effettuate nella sala ex Pretura, attuale sala multimediale. 

Nota 3) -  "Pastilli" : castagne secche sbucciate, con le quali si fa la farina di castagne.

Nota 4) - "Accurdati" : erano le persone che aiutavano i pastori e gli allevatori a gestire le mandrie di pecore, di capre, di buoi. Questi ricevevano una retribuzione in parte in danaro, in parte in natura. 

Commenti

  1. Hai fatto una Bella descrizione 👏🏼👏🏼👏🏼
    E. P.

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  2. Pierino ancora una volta grazie per esserti dedicato a tutto questo.
    Queste immagini ci riportano indietro nel tempo quando gli adulti erano parte integrante della crescita di noi bambini.
    Quanti insegnamenti e affetto abbiamo ricevuto ed è grazie a loro che oggi siamo come siamo.
    Persone educate, affettuose rispettose e soprattutto oneste.
    Purtroppo i nostri figli non hanno avuto tutto questo e a me personalmente mi dispiace molto.
    Un caro saluto a tutti voi e buona serata.
    F. A.

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  3. Interessante. So che da tempo immemore erano le donne a fare i lavori pesanti dentro e fuori casa (portare le fascine di legna sulla testa, le gummule con l'acqua, i sacchi con le castagne, ecc) mentre molti uomini andavano come dici tu ad "apprezzare" il buon vino in osteria... Bravo, documentare è il migliore modo per perpetuare la storia. Cari saluti.
    G. D. B

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  4. Come al solito molto interessante: qui alcuni passi sono davvero toccanti: complimenti e grazie, Pierì!
    f.ch.

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  5. Patrimonio, grazie di cuore

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  6. grazie
    veramente interessante
    mi hai rispolverato qualche ricordo sopito.
    bella la foto con Franco
    buona serata
    P. T.

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  7. Ciao carissimo Pierino.. Complimenti..

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  8. Bellissime foto Piero che suscitano ricordi senso di appartenenza e incredibilmente serenità. Grazie per questo tuo impagabile lavoro.
    Elena M.

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  9. Ciao Pierino tutti bei ricordi purtroppo lo stesso anno ce ne siamo andati però abbiamo avuto una bella lezione di vita.
    V. M.

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  10. Tutti mbriacuni
    Angelo L.

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  11. A proposito della mescita devo raccontare un episodio del quale sono stato testimone da ragazzo .Frequentavo , come discepolo ,il signor Pietro De Mare ,grande invalido di guerra il quale mi mandava spesso presso le botteghe per comprare del vino.Devo dire che lui consumava con gli amici che andavano a trovarlo dai 2 ai 4 litri di vino al giorno pertanto era un buon cliente per i venditori di vino.Egli si era procurato una bottiglia particolare che presentava una protuberanza .Suppongo che i gestori conoscessero che tale recipiente fosse superiore ai 2 litri però essendo in buon cliente riempivano la bottiglia alla cannella della botte senza usare i misuratori.una volta vengo inviato con tale recipiente presso la bottega del Cardacchio per la commissione.Quel giorno nella bottega non c’era il titolare ma il figlio Piero il quale mediante i suoi misuratori versa i 2 litri nel contenitore.In questo istante ci si accorge che il contenitore rimaneva non pieno ed io non potevo protestare perchè ero stato testimone che la misurazione era esatta.Porto il vino a Pietro De Mare cercando di scusarmi se il fiasco non era pieno e che durante il tragitto non mi ero approfittato di bere il vino mancante.Il Signor De Mare Si è fatto una risata sarcastica e mi ha detto:”qualcuno a scoperto il trucco”ed io ho risposto”lei sapeva che il recipiente conteneva 2 litri ed un quarto e lui mi rispose: certo che ero a conoscenza ma con questo quarto di vino in più cerco di compensare l’acqua che l’oste mette nel vino

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  12. "Ricordo con piacere le numerose putighe di vino presenti a Savelli. Queste, possiamo dire, sono le antesignane degli attuali bar 🍸 🍸 🍸 e pub. Li, gli adulti vi trascorrevano le serate chiacchierando del più e del meno. Purtroppo c'era anche qualcuno che esagerava nel bere e si ubriacava e poi riportava le proprie conseguenze, talvolta negative, in Famiglia. Forse, l'ultima delle putighe a Savelli, è stata quella di Pitazzu. Mi ricordo che la moglie, fino a pochi anni fa, apriva a pochi per un mini Brindisi di aperitivo, un bicchiere 8 o 16 a litro. Inoltre, c'era l'apertura temporanea delle cantine, segnalate con la 'frasca', dove si vendeva il vino 🍷 🍷 🍷 prodotto direttamente dai viticoltori Savellesi. Complimenti vivissimi per la documentazione testuale e fotografica. Ad maiora. Tieni vivi i nostri ricordi e trasmetti ai giovani queste interessanti notizie del nostro paese."
    Tonino Arabia

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  13. Cantore dei tempi andati.

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