RESTAURAZIONE BORBONICA (pt.2): Cronache Comunali

"...Il desiderio del vigneto e dell'orto diventò una febbre ed il piccone continuò a macinare sassi,
ad attaccare in pieno zone scoscese... Per correggere le forti pendenze del terreno fu necessario un lavoro titanico di muri su muri, di pietre a secco... nel quale i nostri avi bagnarono di sudore ogni benché minima zolla di terra... Per chi voglia farsene un'idea non ha da far altro che guardare il territorio di Savelli da Castelsilano... ".
(Pericle Maone)


Savelli visto da Castelsilano

Dal 1828 al 1835 possono essere ricordati alcuni interventi amministrativi, che danno l'idea di come era il nostro paese dal punto di vista economico e sociale.

Savelli allora contava 2500 abitanti e le "entrate annue" erano modestissime. 

Tanto per avere un'idea, ecco qui di seguito alcune delle voci da cui il Comune traeva beneficio:
- dai fondi comunali di Cropisìa e Cànali in affitto;
- dalle multe e contravvenzioni;
- dalla gabella per il consumo della carne;
-  dall'imposta sul macino;- dalle multe e contravvenzioni, ecc,..

Ecco qualche voce che riguarda  le spese:
- Per il  Medico
- Per il Predicatore
- Per il Sagrestano
- Per l' Organista
- Per il Maestro di scuola
- Per la Pia ricevitrice dei reietti
- Per la Festa di San Pietro e San Paolo
- Per la Messa mattutina,
- Per i Detenuti poveri. ecc...

"Ruota degli esposti o ruota dei proietti"
La Pia ricevitrice dei reietti accoglieva, al di là del muro, i bambini abbandonati (1)
(foto da web)

Il bilancio comunale degli anni 1828/1832 porta la firma del Sindaco Leonardo Anania che cerca di recuperare qualche soldo attraverso:
-il pagamento di una tassa per l'occupazione di fondi comunali da parte dei cittadini;
-abbassando il salario ai dipendenti comunali e aumentando il dazio sulle carni.

Nel 1834 il Sindaco Luigi Rotundo aprì un contenzioso con gli eredi del feudatario Barberio- Toscano, contenzioso che fu poi continuato dal Sindaco Francesco Fazio con il sostegno dell'arciprete GiacomScalise.
La lite portò ad una parziale vittoria perché permise di recuperare nuovi terreni che favorirono maggiori entrate al Comune.
Ciò offrì l'opportunità ad alcuni possidenti di poter provvedere alla costruzione di due mulini nella zona di Misuolo e di fare concorrenza all'unico possidente di mulini che c'era allora, il barone Ferrari.

Resti del Mulino Gualtieri presso il fiume Lese.

Nel 1835, per migliorare le condizioni igienico-sanitarie del paese venne predisposta la vaccinazione contro il vaiolo e la costruzione del Camposanto. 
Questo secondo intervento trovò l'opposizione della popolazione e il perito, arrivato a Savelli per le rilevazioni,  fu accolto con lancio di pietre, con mazze e con  colpi di fucile.
In seguito a ciò fu costretto a rifugiarsi nel territorio di Verzino.
Questo perché la gente era abituata a seppellire i defunti nelle cripte delle chiese e sembrava una profanazione portare i propri cari deceduti lontano dall'abitato e dal luogo religioso. Il colera del 1837, che fece numerose vittime, non fece cambiare idea alla popolazione.

Miseri resti delle tombe trovati durante i lavori di riparazione della Chiesa di Santa Maria delle Grazie  (Chiesulella)
(Foto dal 3^ volume Savelli nella Tradizione e nelle Storia di G.B. Maone)


Anche nella Chiesa Madre furono trovati resti umani durante i lavori eseguiti agli inizi degli anni '60 dai Padri Passionisti. 
 

Nel 1836 Savelli contava 3010 abitanti per cui venne considerato Comune di 2^ classe.
Da tale anno venne messa a bilancio una nuova entrata: l'affitto della Fiera di San Pietro e Paolo.


Nonostante il grande brigantaggio fosse stato sconfitto, nella zona della Sila e quindi anche a Savelli, esisteva ancora un problema di ordine pubblico.

    C'erano comitive di individui che creavano seri problemi e minavano la tranquillità delle contrade.
I nomi che circolavano in quel periodo erano: Falco, Magaro, Giosafatte Tallarico, il sangiovannese Rosario Rotella, detto Terremoto, il casabonese Panazzo e i savellesi Pasquale Gentile e Domenico Scalise, capi di una piccola banda.

    Nel 1841 Pasquale Gentile ("Rimurata") uccise tale Vincenzo Martino di Bocchigliero e si unì al compaesano Domenico Scalise ("Camuara").
I due, per tristi vicissitudini, diventarono briganti per vendetta e, dopo essere stati catturati, furono condannati a 25 anni di carcere e lì finirono i loro giorni.

    Qualche anno prima, un cittadino savellese del casato dei Cerminara, soprannominato "Pitazzu", si rese protagonista di un episodio molto particolare. Egli aveva accumulato un discreto gruzzolo assalendo i procaccia postali, i fattorini che portavano la posta, impossessandosi di pacchi e di altre cose di valore.
Spinto dalla facilità delle precedenti esperienze e volendo fare il salto di qualità, decise di farsi brigante. Raggiunse l'Alta Sila, si presentò al cospetto del capobanda dei briganti ed espose il suo desiderio.
Il capobanda, vista la richiesta, chiese quanti uomini avesse ucciso. "Pitazzu", che non aveva mai commesso omicidi, rispose negativamente. Di rimando fu allontanato con una pedata e classificato come un buono a nulla.
L'umiliazione subita spinse il Cerminara a crearsi un "curriculum", uno stato di servizio. La sera del 14 Giugno del 1835, dopo aver bevuto parecchio, aggredì con un pugnale i fedeli che stavano uscendo dalla chiesa. I colpi dati all'impazzata uccisero una persona che non aveva colto subito il pericolo.
Una fitta sassaiola fece scappare l'omicida, fu inseguito fino a Canàli e lì disarmato e catturato.
Fu trascinato con un bastone legato fra i piedi fino alla piazza del paese. A stento fu sottratto al linciaggio. Sopravvissuto alle sassate e al linciaggio, mori nell'infermeria del carcere di Catanzaro.

    Nel 1841 il funzionario della provincia di Catanzaro, Gaetano Strarabo, volle visitare i paesi della provincia  per meglio amministrarli.
A Savelli fu accolto degnamente sia dal Clero che dalla popolazione.
Esaminando gli atti sia del Comune di Verzino che di Savelli, dispose la sospensione dal servizio del segretario di Verzino per poca correttezza. Per il disonore il funzionario comunale morì di crepacuore dopo pochi giorni.
Al funzionario si fece richiesta di avere in Savelli il Regio Giudicato (la Pretura), che in quel momento era ubicata nella sede poco felice di Umbriatico.
La richiesta fu accolta e inviata al Ministero.
Nel frattempo i contrasti sorti fra gli Oriolo di Verzino e i Giuranna di Umbriatico, spinsero i primi a sostenere Savelli.
Il fatto si compì nel 1847, infatti in quell'anno Savelli ebbe la Pretura.

Foto anni '60
La Pretura di Savelli era situata al primo piano del palazzo centrale a fianco della Chiesuola.
Al piano rialzato era situato il "Carcere Mandamentale" 

Da questa data Savelli incominciò ad avere ricchezze e benessere. La popolazione incominciò ad aumentare sensibilmente, le migliori condizioni economiche fecero affluire commercianti e artigiani. Si formarono nuove famiglie.
Insomma accrebbero il lustro e il decoro del paese. Nonostante le casse comunali fossero in difficoltà, in quell'anno, grazie anche alle offerte volontarie, si appaltò e si costruì il ponte di Senapite (26 ottobre 1847).

Il vecchio ponte sul fiume Senapite, anno di costruzione 1847.
Dietro i ruderi di un vecchio mulino.

Si arrivò al 1848 e tale data è portatrice di ribellioni, di disordini in tutta la Calabria.
La tormentata questione dei TERRENI era ancora una questione aperta.

"AVERE LA TERRA PER SOPRAVVIVERE ERA SEMPRE IL DESIDERIO DEI NOSTRI ANTENATI"

Fu tale e tanta la confusione e l'anarchia in quel periodo che il popolo ricorda ancora con umorismo le tragicomiche vicende con questa frase:

"E' Successiu u quantuottu" - "E' successo il quarantotto"

La popolazione obbligò il giudice Domenico Castellano, il Sindaco e il segretario Comunale a delineare i nuovi confini del territorio così da annullare i raggiri e gli imbrogli dei proprietari.
Purtroppo tutto andò in fumo per l'occupazione di Cosenza e Catanzaro da parte dei Borboni e ciò annullò le speranze dei calabresi insorti.

    Durante le vicende poco liete di questo periodo emerse un personaggio dal forte ardore borbonico tale Domenico Verardi, agiato proprietario della vicina San Giovanni in Fiore.
Questi, una volta sconfitti gli insorti, seminò ovunque terrore dando la caccia ai rivoltosi.
Andò in giro per le contrade delle province di Cosenza e Catanzaro comunicando che il Governo Borbonico avrebbe permesso la distruzione dei beni appartenenti ai nemici del trono e avrebbe  premiato chi  partecipava alla distruzione.
Il popolo non chiedeva di meglio e con determinazione iniziarono le ribalderie, specialmente nel Crotonese.
All'invito del Verardi risposero anche alcuni savellesi: Marco Marasco, detto "Marcuvisc", contadino savellese, si appropriò della mandria di Giuseppe Oriolo di Verzino.
Si recò in località Camastrea, fece scappare i pastori e indirizzò il gregge verso Pino Grande, terreno savellese.

Incominciò a vendere i vari prodotti e ad essere generoso con tutti. Soddisfatto di quanto aveva fatto, radunò i figli e con lacrime di gioia disse loro: 
"Vi ho procurato la ricchezza; se la sapete mantenere, è vostra..."
I figli non fecero in tempo a far tesoro delle raccomandazione del genitore perché, una volta ristabilito l'ordine, la mandria tornò al legittimo proprietario.

    Nello stesso tempo si era formata una banda di briganti locali con a capo Emanuele Capalbo. La banda ebbe una dura lezione in località Pastinelle da un gruppo di abitanti di Bocchigliero che, con scariche di fucilate, ferì alcuni componenti e li costrinse a dileguarsi.
In seguito furono tutti catturati.

    Il 18 febbraio del 1849 si chiudeva la storia fra due compaesani la cui relazione era alquanto burrascosa: Francesco Torcasso soprannominato per la sua arroganza "Parafante" e Domenico Greco, detto "l'Affascinatu".
Entrambi appartenevano a famiglie benestanti del paese.
Il Greco, nella contrada Imbarrata mentre pascolava i buoi, fu aggredito  dal Torcasso. 
Rimase privo di sensi per molte ore. Ripresosi riuscì ad arrivare in paese dove raccontò di essere caduto da una quercia.
La vendetta non tardò ad arrivare e, presso il Biviere di  Frea, il Torcasso , il Parafante savellese, trovò la morte a 38 anni.
"L'Affascinatu", catturato, fu costretto ai lavori forzati a vita.
Finita la tempestariprese la guerra contro i vari baroni per la RESTITUZIONE DEI TERRENI.
La lotta aveva l'obiettivo di  togliere loro il diritto di percepire indebitamente dei redditi nella  Sila di Cropisìa (2) e di porter godere degli usi civici in questa zona ( ad esempio poter raccogliere legna secca, poter pascolar, andare a prendere l'acqua ecc...). 

Sila di Savelli con le villette.
Anni '80

Il Sindaco di Savelli Francesco Antonio Cristiano inviò un ricorso contenente le lamentele della popolazione al Re Ferdinando II. La richiesta fu  portata personalmente da due cittadini: Pietro Cristiano e Pietro Chiarello.
Il Monarca passò la richiesta al funzionario della Provincia il quale la girò al giudice locale sig. Mannelli. 
Questi inviò il Consigliere distrettuale  Luigi De Franco da Caccuri con l'agrimensore Antonio Rocco di Cirò a Savelli per l'accertamento.
Le operazioni di controllo e di verifica dei terreni stavano procedendo bene e nella serenità, allorquando si scatenò un uragano tale da distruggere: case coloniche, muri, alberi, mulini.
Le proprietà in campagna furono rese irriconoscibili per cui il lavoro di verifica fu sospeso e non fu più ripreso perché non si trovò nessun agrimensore disposto a portarlo a termine.
L'Intendente della Provincia, contrariato per le continue proteste del Comune, nominò il Consigliere Demaniale Felice Antonio Minervino, da San Pietro Apostolo (CZ), per la definizione della vertenza.

Correva l'anno 1859 e i desideri del popolo savellese non erano ancora stati appagati.

Rimanevano ancora aperti i contenziosi con Verzino, terra madre, e con il feudatario. 

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La storia di questo lungo periodo, che ho cercato di rendere più sintetica possibile, ci racconta che non sono mancati gli atti di violenza, di sopraffazione, di ribellione, di ruberie, di lotte.

La Restaurazione Borbonica non era riuscita a dare risposte adeguate ai bisogni della popolazione che faticava a sopravvivere. 

La casa regnante non era stata capace di risolvere i seri problemi socio economici che attanagliavano il popolo calabrese, anzi furono ancora agevolati i ricchi proprietari. 

La terra rimaneva ancora un miraggio.

Anche Moti Carbonari, sviluppati in Calabria si dimostrarono inefficaci per lo scarso coinvolgimento popolare e per la disorganizzazione.

A tal proposito non va dimenticato il sacrificio di Attilio ed Emilio Bandiera e di altri sette compagni uccisi il 25 aprile del 1844, presso il Vallone di Rovito (Cosenza), per avere tentato di far sollevare la popolazione contro il re Ferdinando II nella prospettiva dell'unificazione dell'Italia.

Uccisione dei fratelli Bandiera
(immagine dal web)

Con tutta questa serie di problematiche stava per arrivare il 1860. Ci si avviava verso l'Unità d' Italia. (3)


👈DOMINAZIONE PRECEDENTE: Restaurazione Borbonica (carboneria)

👉DOMINAZIONE SUCCESSIVA: Unità d'Italia

🏠CRONOLOGIA DELLA STORIA DI SAVELLI    


Nota 1) - Con il termine trovatello, esposto o proietto veniva indicato il bambino abbandonato dai genitori. Tra il 1806/1815 con l'arrivo dei Francesi, venne istituita nei comuni meridionali d'Italia la " Rota proietti". Era una ruota girevole di legno che permetteva di depositare, senza essere visti, il neonato abbandonato. Girando la ruota, il piccolo veniva a trovarsi all'interno. Inoltre c'era una campanella che avvisava della presenza del bambino. La donna, di solito una serva o una suora, era "la  Pia ricevitrice " e dava le prime cure e sceglieva anche il nome di battesimo.

Nota 2) - Cropisìa  corrisponde alla Sila di Savelli., Era divisa in tre "terzi"e venivano chiamati: "terzo soprano"; "terzo di mezzo", "terzo sottano". Per la semina si praticava la rotazione triennale. Il feudatario faceva pagare ai cittadini " a pigliata" che era un'ammenda che il duca pretendeva per l'omessa custodia degli animali che venivano trovati nei terreni feudali. I sacerdoti, che possedevano gli animali per sostenersi, pagavano in forma ridotta la "ventrata".

Nota 3) - Bibliografia: " Savelli nella Tradizione e nella Storia volume Primo" di Pericle Maone; "Don Giuseppe Rotundo alias Donnu Peppuzzu" di Don Pietro Pontieri; "Savelli nella Tradizione e nelle Storia" terzo volume di G.B. Maone.

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