IL COSTUME MASCHILE

Il costume maschile era un vestito molto semplice e pratico in modo che potesse essere indossato anche durante i lavori dei campi.

La giacca, ad esempio, era senza bottoni per non limitare il movimento. Anche il costume dell'uomo aveva le sue caratteristiche, però, a differenza del costume femminile, è andato in disuso molto in fretta e a noi non resta che individuare i dettagli attraverso questo articolo. 

Persino l'ing Pollio della corte borbonica , nella sua relazione del 1760, nel descrivere il nostro paese, non fa cenno sull'abbigliamento maschile, anzi dice che gli uomini erano ben vestiti, 

Antico costume maschile

Costume femminile e maschile
al Museo di Savelli

Il costume maschile aveva: 

- come copricapo una coppola o un cappello a cono (secondo Pericle Maone l'ultima persona a portarlo in testa agli inizi del novecento fu il vecchio "Cunciputu")

I primi berretti dovevano essere fatti a maglia e poi di panno con un risvolto posteriore ("e ricchielle") che permetteva di riparare il collo e le orecchie dal freddo, dall'acqua e dalla neve. L'ombrello non faceva parte dell'abbigliamento  dei nostri bisnonni.

1992
Gruppo di anziani con la coppola

- una camicia di lana a grosse righe e senza colletto; 

- un panciotto di panno; d'estate "a Lanetta", una specie di giacchetta di lana, senza colletto e senza fodera bianca;  d'inverno, ma non tutti la possedevano, una giacca di panno, "frandina" ( stoffa pesante tessuta dalle nostre massaie) o di "pannu rusticu", fatto di lana "sciara" (rossiccia) (1);

- pantaloni con apertura alla marinara, "ccu llu piscialestu" (bottoniera sul davanti dei pantaloni,  "vrachetta") dello stesso tessuto della giacca, a mezza gamba;

- sulle gambe "i quazettuni" di panno rustico, specie di gambaletti con uose (2), abbottonati sul fianco esterno con bottoni bruniti, chiamati "guarnici";

uose 
(foto dal web)

- sotto "i quazettuni", calze o semplici pezze ("mappine") da piedi dentro le scarpe, coperte dalle uose.

- negli inverni più freddi e "ccu llu pruverinu" (temporale con neve e vento), chi ne era provvisto, usava "u mantu" (mantello, tabarro) (3)

Anni '80
"zu Santullu e Felicicchio ccu llu mantu"

Anni '50
Giuseppe Chiarello
"Peppe e Mustazzu"
con camicia senza collo e panciotto.

- i contadini e le persone meno abbienti, invece delle scarpe, usavano le famose "calandrelle".

Queste erano delle calzature molto semplici, addirittura primitive, fatte di cuoio crudo e conciato alla meglio; erano di forma trapezoidale e la loro lunghezza era regolata su quella dei piedi, intorno ai quali si ripiegavano alquanto per proteggerli. 

Sull'orlo anteriore e posteriore si aprivano delle asole, "e cacchie". Per calzarle si adagiavano i piedi avvolti in un panno, "e pezze", o infilati in calze di ginestra; con una funicella di pelo caprino, infilata nelle asole anteriori e posteriori, si assicuravano al collo dei piedi e alle gambe. 

Alla parte anteriore si dava una forma di cappuccetto, tenuto fermo da una stringa di cuoio, che proteggeva le dita; il calcagno era sempre scoperto. 

Per evitare il rapido consumo spesso si metteva sulla pianta una suola cucita alla "calandrella" e imbullettata con le "tacce", chiodi per calzature con testa larga e massiccia.

Poiché la parte esterna delle "calandrelle" conservava spesso il pelo bovino, chi le calzava veniva chiamato "peripelusu" ( piede peloso).

Uno degli ultimi savellesi ad indossare le "calandrelle"

"e calandrelle" erano di cuoio vaccino, conciato localmente

1930
Notabili, autorità, clero, bambini alla "Chiesulella"
(foto G.B. Maone)

Anche gli uomini avevano il vestito "e l'affiru" (del matrimonio), era di colore nero e di ottima vigogna  che, dopo il matrimonio, veniva riposto e poi ripreso solo in particolari circostanze: lutti, matrimoni, feste. Completavano l'abbigliamento: la camicia bianca di seta, la cravatta, il cappello Borsalino, scarpini neri.

1929
Matrimonio di Domenica  Paletta ed Enrico Lepera.
Sposo e invitati con il Borsalino.
Sullo sfondo una parte della  Chiesa Matrice

1932
Matrimonio in costume alla Chiesuola.
Invitati e ragazzi con il cappello dell'epoca

Dei monili d'oro agli uomini era riservata solo la "fede"

Però, agli inizi del '900 alcuni vecchi usavano portare dei piccoli orecchini d'oro un po' per vezzo e anche perché era loro convinzione che questi monili, per i sali medicamentosi contenuti nell'oro, fossero un ottimo rimedio atto a curare "a furia", malattia degli occhi (congiuntivite).  

G.B: Maone, nel suo libro "La Memoria" ricorda due persone che portavano l'orecchino: un paio li portava tale Emanuele di Bocchigliero che veniva a Savelli a vendere selle per gli equini, in paese ce n'erano circa 500; l'altra persona si chiamava "Giuvanniellu e Musca", uomo di chiesa, sempre presente alle funzioni e, forse, faceva parte della Congregazione del Crocefisso.(4)

Ricordo che, fra i soprannomi savellesi, c'è anche quello di "Ricchiniellu", probabilmente legato all'uso degli orecchini.

L'ultimo a vestire il costume, però senza "calandrelle" e con berretto con "ricchielle" fu "Saverone", mulattiere del Cav. Giuseppe Fazio, negli anni '20.



nota 1) "sciaru": biondo, rossiccio, "crapa sciara"= capra dal  manto rossiccio (Rohlfs)

nota 2) uose : ghette basse che proteggono la caviglia e coprono una parte della scarpa e del polpaccio

nota 3) mantu : ampio mantello, a volte con collo di astracan, ma sempre con fibbia, lungo fino alle caviglie, pesante, di lana la cosiddetta  "frandina". Un tessuto che si faceva anche a Savelli. I più abbienti avevano il mantello con il collo di astracan.

Nota 4) Congregazione del Crocefisso: era una Congregazione di Laici da loro stessi governata e amministrata, situata nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Chiesulella). (" Savelli e la sua Jiesulella", memoria e storia della Congregazione laicale "a Santa Cruce" di Pietro Pontieri - Editoriale Progetto 2000)

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