U FURNU A LIGNA
Dice un famoso indovinello di Leonardo da Vinci:
"A chi viene tolto continuamente il cibo caldo di bocca?"
- Al Forno -
Il forno è vecchio quanto l'uomo. Gli Egizi, già tremila anni prima di Cristo, lo costruivano. Poi venne perfezionato dai Greci e dai Romani.
Nel Medioevo ogni villaggio ne aveva uno e ogni famiglia marchiava il proprio pane così che ogni forma cotta potesse essere restituita al proprietario.
Durante il Feudalesimo i forni e i mulini venivano gestiti dai feudatari attraverso i loro fiduciari o gestori e dai preti che così potevano incrementare le loro modeste entrate.
Anche il nostro paese doveva sottostare a questa regola e chi voleva utilizzarlo doveva pagare una tassa.
Caduta la regola dell'esclusività si sviluppò l'iniziativa privata e anche nel nostro paese nacquero molti forni.
Nel periodo che va dagli anni '20 agli anni '30, quando Savelli contava circa 5000 abitanti, vi erano 30 forni a legna, o meglio, " Furnu a frasche".
![]() |
Vecchio forno a legna (Immagine dal web) |
I vecchi forni a legna venivano scaldati con le frasche, rami secchi degli alberi che le nostre nonne e bisnonne andavano a raccogliere nei boschi appena fuori paese che, raccolti in fascine, portavano sulle testa e depositavano nei "catoja" (stalla, cantina).
![]() |
Nella foto: Ritorno dalla campagna "ccu nu viaggiu e frasche". Gli asini, invece, "portanu na sarma e ligna" (portano una soma di legna) . Le donne, per meglio sopportare il peso del carico, mettevano sopra la testa una crocchia, "a curuna", fatta con un cencio. I forni erano gestiti dai proprietari con la collaborazione "re Furnare" (le fornaie); i clienti lasciavano come compenso un pane per ogni tavola, su ogni asse ne venivano sistemati 18/20 I maestri costruttori dei forni erano i verzinesi che sceglievano nel territorio di Verzino (KR) la pietra arenaria necessaria sia per il fondo che per la cupola. Il forno "ra Mperna" In via Leopardi, c'era il forno a legna di Pietro De Mare. Al posto del garage c'era il forno "e Mastrupasquale" Rione "Timpariellu" Una volta qui c'era il forno " e Petrone" Il forno a legna " e Fruntera". Zona "Conca d'Oro" In questa via che fa angolo con via Sila c'era un forno a legna In vicolo Osiride c'era "u Furnu e Verdi". In via Socrate c'era "U furnu e Cullurella", faceva delle piccole focacce ("Cullurelle"). Da qui il soprannome "Cullurella". Poi in via Gracchi il forno di Assunta Maone. Con tanti forni che c'erano in paese non poteva mancare il mulino. "U mulinu e Brisinda", occupava lo spazio dove attualmente c'è il Comune. "U mulinaru" (il mugnaio) era Luigi Savelli (detto appunto " U mulinaru") Alla preparazione del forno ci pensava "a furnàra" (la fornaia); questo mestiere, a Savelli, è stato sempre di pertinenza delle donne. La prima operazione che faceva la responsabile era quella di introdurre la legna nel forno, poi doveva procedere all'accensione dando fuoco alla "rera" (pezzo di legno di pino resinoso).Una volta acceso il fuoco, la legna ardente veniva spinta verso il centro della cupola. Per poter permettere il raggiungimento di una temperatura adeguata venivano bruciate anche tre fascine di legna. Per verificare il calore del forno, prima del pane veniva infornata "a cullura pizzulata", una focaccia pizzicottata con sale e olio, cotta alle "vampe" (in presenza delle fiamme nel forno). Bruciata la legna, raggiunta la giusta temperatura, la brace veniva spostata lungo le pareti e il forno veniva ripulito dalla cenere "ccu llu scùpazzu" (scopa da forno) e poi con un panno bagnato. Dal momento dell'accensione, per avere il forno pronto per la cottura del pane, passava un'ora, un'ora e mezza circa. L'impasto, preparato dalle donne, veniva lasciato a riposare nella "majilla" (madia, vasca di legno). per la lievitazione. Per la lievitazione veniva usato "U lavatu" (lievito madre)(1), un lievito di circa un chilogrammo di pasta, conservato in una coppetta di legno che serviva per far lievitare "a criscente"( pasta lievitata per fare il pane), una volta mescolato con l'altra pasta. Finita la lievitazione "a furnara" poteva dire: "a pasta e fatta , mo amìu e scanare" " la pasta è lievitata ora dobbiamo fare i pani per infornarli" I pani venivano poi disposti sopra delle assi di legno perché erano ormai pronti per essere infornati. Fatto il segno della croce come auspicio di buon augurio, il forno veniva chiuso da uno sportello di ferro per evitare la dispersione di calore. ![]() Il pane appena infornato. (Immagine dal web) Alla preparazione partecipavano: la fornaia, la famiglia che aveva prenotato il forno e anche qualcuno del vicinato. Diventava tutto un momento condiviso e il profumo del pane fresco si spargeva per tutta la "ruga". Una volta cotto, il pane veniva portato a casa con le ceste e messo negli stipi e nelle "cannizze" (assi di legno incrociate, canniccio attaccato alle travi per conservazione): La provvista del pane era fatta. Il forno del vicinato veniva usato per fare la provvista di pane, per infornare i fichi, per la cottura dei dolci della nostra tradizione. Pane appena sfornato Per Capodanno i forni a legna del paese preparavano "i Muccellati" (buccellati, ciambelle) preparati con la farina bianca "a majorca" (grano tenero) Treccia di fichi secchi. I fichi messi al sole ad essiccare, venivano infilati in un bastoncino di canna e poi infornati per la doratura. Venivano consumati durante l'inverno. Ai bambini veniva dato come un dolce, in mancanza d'altro. Dolce calabrese formato da quattro fichi secchi con spicchi a forma di croce farciti con spicchi di noce e cotti al forno. Durante il periodo autunnale le nostre nonne portavano, con la cesta sulla testa, le castagne da infornare Sarebbero diventate un prezioso alimento durante il periodo invernale. Questo era un momento molto atteso dai ragazzi perché le castagne al forno erano molto desiderate.Spesso gruppi di maschi andavano in giro per i forni a cercare castagne calde ed erano pronti a fare dei dispetti pur di ottenerle. Ceste costruite dai cestai savellesi. Venivano usate per il trasporto del pane e di altri prodotti Era collocato in sospensione a una certa distanza dal soffitto, per prendere il pane, veniva usatto "u maccarrunaru" (il mattarello). Il pane, una volta fatto cadere, bisognava prenderlo al volo, altrimenti, ormai duro, si frantumava a terra. Il pane, una volta, era l'alimento fondamentale per la sopravvivenza. Il contadino, il bracciante, il lavoratore in genere quando andava a fare qualche giornata di lavoro usava dire: me vaju abbuscu nu muorzu e pane" (vado a guadagnarmi un pezzo di pane) Il pane era un segno di ricchezza, di solidarietà, di benedizione. Il pane si scambiava fra vicini di casa: "damme nu pane ca pue tu rugnu" ( dammi un pane, poi te lo restituirò) Se cadeva un pezzo di pane per terra si raccattava e si baciava. Il rispetto per il pane era il rispetto per il lavoro e per il sacrificio che si era fatto per ottenerlo. "U panu tuostu" (il pane raffermo) per i nostro antenati, spesso ha rappresentato la base di un'alimentazione essenziale. Ecco la ricetta di un "piatto povero" che veniva preparato a Savelli fin dai tempi più antichi: L'ACQUA - SALE Ingredienti: Porro (si può usare cipolla o borragine), alloro, olio, pane raffermo, ricotta e uova (se c'erano in dispensa). Si mette a bollire l'acqua con sale e una foglia di alloro, si aggiunge un uovo e/o della ricotta poi, il tutto, viene versato in una ciotola dove c'è il pane raffermo. Non è una ricetta da ristorante però questo è quello che trovavano i nostri antenati più poveri nel piatto. (2) Dagli anni '50, con l'introduzione di nuovi sistemi di riscaldamento, i vecchi forni cessarono di funzionare, anche perché non erano più igienicamente a norma. L'avvento dei forni elettrici, e di nuovi sistemi di preparazione e i tempi che mutavano, hanno cancellato certe ritualità. Le famiglie hanno smesso di fare la provvista perché il pane si preferì mangiarlo fresco. Lentamente, grazie anche al miglioramento delle condizioni socio/economiche, il pane raffermo scomparve dalla dieta delle famiglie. Ed ecco che, man mano, nacquero i forni di : - "Brisinda" a fianco dell'attuale Ufficio Postale ![]() Ex palazzo Brisinda. sede attuale dei Carabinieri - Tallarico, via Roma Fine anni '70 Entrata del forno Tallarico - Fazio "Vajacone", vicino alla fontana "e Ceppe" - Scalise ( "Piricu") , via Cavour rione "Timpariellu" - "Gennangiulu" (Tallarico Giovanni Angelo), vicino alla Chiesuola ![]() 2003 Preparazione dei "viscuatti" (biscotti fatti con farina bianca, vengono lucidati con acqua calda prima di essere infornati) - "Cicciu" (Tallarico Francesco), in Piazza Precone. L'unico rimasto in paese ancora in attività. Preparazione del pane in un forno moderno Nei nostri forni non possono mancare le famose "friselle" o "fresine". Taralli croccanti che vengono preparati con vari tipi di farina.Dopo la prima cottura vengono tagliati a metà e messi di nuovo al forno per essere "bis-cottati" Il giorno di Ferragosto il pane ("le pitte") viene portato in chiesa per essere benedetto e poi distribuito alla popolazione. Una vecchia tradizione locale che ancora viene mantenuta.Alcune famiglie, come ex voto, per grazia ricevuta, facevano dono alle famiglie bisognose di una ciambella di pane. |
Nota (1) - "U lavatu" - E' il lievito madre. che al momento della panificazione ogni famiglia metteva da parte (1 kg circa) per poi consegnarlo alla famiglia che panificava successivamente. La coppetta di legno con la pasta, coperta con "una mappina", uno strofinaccio, e veniva portata da noi ragazzi alla comare o alla vicina di casa per la prossima panificazione.;" Porte u lavatu alla cummari" ( porta il lievito madre alla comare).
Nota (2) Per conoscere meglio la nostra tradizione culinaria consultare: "Ricordo i sapori di una volta...", quando si mangiava poco ma sano, a cura della Pro Loco Savelli 2018.
In Puglia, i forni a legna esistono ancora: il pane pesa almeno 2 kg e viene commercializzato come "Pane di Altamura" anche qui a Pisa.
RispondiEliminaTi sono grato, caro Pierino, per queste chicche. Cuocere il grano ridotto a farina è stata probabilmente la prima attività culinaria della storia. Riscoprire i forni a mattoni refrattari o in pietra restituisce parte della memoria storica quanto alle attività poste in essere dai savellesi.
RispondiEliminaGiuseppe d. B.
Ciao Piero mia Nonna Astorino Maria Antonia era una di Quelle che facevano Girare i Forni A Frasche,saluti Giuseppe Rotundo
RispondiEliminaAd Altomonte non sono mai esistiti forni pubblici e così pure in molti altri paesi. Moltissimi luoghi avevano fontane pubbliche, lavatoi pubblici e forni comunali, gestiti da un addetto. I forni comunali venivano tenuti sempre accesi sia per il gran numero di utenti che per risparmiare legna. Durante la guerra quando anche il pane era ragionato, i municipi incaricavano delle persone di produrre pane da vendere con la tessera.
RispondiEliminacome sempre
RispondiEliminaè piacevole leggere le tue "chicche"peraltro piene di ricordi.
buona giornata
Pippo T.
È sempre un immenso piacere, leggere le tue belle pagine di storia delle tradizioni del nostro paese. La riflessione sorge spontanea: possibile che sia finito tutto. Una volta c'era più coralità, ci si aiutava. Ricordo, con molta nostalgia mia nonna che mi raccontava di quando si faceva il pane, e si passava da mano in mano "u levatu o criscente". Oggi, il mondo corre troppo veloce. Che amarezza! Mah!
RispondiEliminaFilomena Greco
Le storie raccontate, con le immagini pubblicate mi fanno tornare ai miei giovanissimi anni trascorsi con i nonni (Rusina a palatella e Luigi Rizzo) le immagini mi fanno rivedere mia nonna che trasmette il suo sapere nel fare: il pane, le pizze ( cu li frisi l’io ci le sarde), i viscutti, i muccellati e tanto altro al fornaio giovane e inesperto e alla giovane moglie . La rivedo austera con una infinta voglia di trasmettere le tradizioni, orgogliosa di quel compito così importate che doveva essere tramandato per non dimenticare con il tempo i valori dei savellesi. Entrambi sempre orgogliosi di essere savellesi. Il nonno aveva il compito di organizzare la festa di San Pietro e Paolo; quanto impegno per fare i fuochi d’artificio disporre con ordine le bancarelle ( la gioia dei bambini ) e che soddisfazione far arrivare un cantante famoso che rendesse speciale quella festa. Quanta competizione con i paesi vicini, fare l’assessore fare politica era necessario per fare tutto ciò. I ricordi fanno rivivere i miei dolcissimi nonni.
RispondiEliminaChe bei ricordi quando si informavano le castagne tutta la notte
RispondiEliminaG. S.
Quando venivano cotte le castagne, se non ci davano castagne, veniva messo un volo per fare inciampare le donne, così cascate per terra ,si raccoglievano. Se non vado errato ho partecipato non direttamente al fatto.
RispondiElimina