"A PACCHIANA" - IL COSTUME FEMMINILE (Parte 2)
Il costume delle nostre nonne con il candore del "ritorto" e delle "riccia" ha dato sempre risalto al volto di chi lo ha indossato.
Unendo la bellezza classica delle nostre pacchiane alla disinvoltura del portamento, il nostro costume tradizionale ha avuto favorevole ed entusiastico successo.
L'occasione di un'esibizione fuori da paese si presentò nel mese di marzo del 1939 allorquando Mussolini passò da Crotone e, per l'evento, un gruppo di ragazze savellesi in costume si recò in città per l'accoglienza. Il momento era atteso con entusiasmo dalle giovani donne di allora.
La cronaca del tempo racconta (io l'ho sentita nell'osteria di famiglia negli anni '50) che il Duce era atteso per le dieci del mattino e arrivò il pomeriggio.Ciò detto, riprendo in questo articolo la descrizione del costume femminile savellese, "a Pacchiana", che, come è scritto nella precedente pubblicazione, è formato da diversi capi di vestiario:
"U JIPPUNE"
Può essere italianizzato con la parola "gippone", dal latino medievale "giupponus", giubba, una specie di giacchetta che non copre il davanti, senza collare, in modo da dare il massimo risalto alla "riccia"e al "corpetto".
La giacchetta è di panno nero o, volendolo meno pesante, di seta fiorata o liscia.
E' ornato di merletti con coralli neri. I risvolti delle maniche sono rivestiti esternamente di velluto rosso, detto "circasso" (2).
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"Jippune" (giubba) del costume savellese con maniche aderenti al braccio |
Differisce dalla giubba sangiovannese nelle maniche che sono vistosamente più larghe, mentre quelle del nostro "jippune" sono quasi aderenti al braccio.
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"Jippune" del costume di San Giovanni in Fiore (CS) con maniche larghe. (Foto dal web) |
"A GONNA"
Completa il costume la gonna di lana nera o di panni più fini come la segovia, lo zigrino o la faglia di seta liscia o fiorata, ma sempre nera.
Le gonne di uso giornaliero, "gunnelle", sono di cotone. Generalmente se ne indossano due, di più quando si rende necessario riempire...i fianchi.
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Il costume di tutti i giorni è meno curato |
La gonna interna,"suttaninu", è di confezione molto semplice.
Particolarmente curata, unitamente agli altri capi di abbigliamento usati per la solenne circostanza, "a cammisola e l'affìru", cioè la gonna dello sposalizio.
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Anni 2000 Gruppo di pacchiane pronte per una manifestazione |
E' confezionata a mano col miglior panno possibile. Trapuntata di filo bianco lungo il bacino sia per fissare le innumerevoli pieghe, sia per darle una certa aderenza al corpo, è ornata di trine di seta con piccoli coralli o pagliette di vetro sulla svasatura inferiore.
Sul fianco destra, in alto, è praticata un'apertura simulata da una pistagnina (striscia di stoffa). Essa immette nel "cusciale", unica tasca, e permette di togliere con facilità la gonna, sfilandola dall'alto con l'aiuto delle braccia.
Sull'orlo inferiore, dalla parte interna della "cammisola" (gonnella), vi è cucito tutta in giro una striscia di "circasso" che diventa appariscente quando essa viene portata "arriculata", ossia ripiegata e fermata sul di dietro.
Il circasso serve per "aduarnu", per ornamento e per proteggere il panno dall'usura.
Le nostre donne conservavano con molta cura, quasi come un oggetto sacro, "l'abitu e l'affiru" (l'abito del matrimonio) e lo useranno soltanto in occasione delle grandissime solennità familiari e religiose o in eccezionali avvenimenti pubblici.
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Agosto 2023 - Sfilata di pacchiane |
Durante le giornate rigide o in occasione di lutti "la pacchiana" solleverà la falda posteriore della gonna, con la quale coprirà le spalle ed il capo lasciando scoperto il viso; ne terrà fermi con le mani i due lembi sotto il mento, in tal modo si proteggerà dal freddo e, nei lutti, non si vedrà nulla di bianco.
CALZE E SCARPE
Le calze sono di lana o di cotone scuro, vengono usate giornalmente e hanno una confezione particolare.
Le suddette calze lasciano la pianta del piede nuda; hanno però un cappuccetto che copre le dita e un altro che copre il calcagno.
Quando la nostra contadina deve calzare le scarpe, copre le dita e il calcagno con i relativi cappuccetti; quando, invece, va in campagna e non ha le scarpe o se l'è tolte per risparmiarle, ripiega i due cappuccetti sulle dita e sui talloni in modo che la pianta del piede resti nuda.
Perché fa tutto ,questo?
La "pacchiana" lavora molto in campagna e ha bisogno di riparare le gambe dai rovi e dal freddo. Dovendo poi annacquare gli orti, ed è questa una delle sue principali occupazioni, le riuscirà facile tirare le calze a mezza gamba, senza sfilarsele.
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anni '60 Ritorno dalla campagna. Coniugi Tallarico ("Capurale") |
E poiché tali calze vengono usate anche d'estate, non è da escludere che entri in gioco un certo pudore che non vi farà vedere mai una popolana con le gambe nude ("scavuza 'ngamba").
Le calze di cui si è parlato si chiamano "mappe" e sono di uso giornaliero; per le feste e per le grandi occasioni si usano le calze intere.
Le scarpe sono di "vitellino" nere e per lo più a scarpino; con l'abito da sposa vengono usate le scarpe a forma di mocassino, senza lacci, dette "scarpe chiane", a mezzo tacco; erano talvolta orlate, alla scollatura di una speciale pelle laccata di rosso.
Alcune contadine povere, quando vanno in campagna, usano una specie di pantofole, per lo più tessute al telaio, assicurate alla meglio alla caviglia e con le suole rinforzate da strati di stoffa resistente.
Si chiamano "peragatti", che vuol dire "a forma di piede di gatto".
Il noto felino, com'è risaputo, ha la pianta del piede provvista di callosità a forma di cuscinetti, contribuendo questo particolare anatomico a rendere il suo passo silenzioso. agile ed elastico, così come quello delle nostre donne con le suddette calzature.
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Ritorno dalla campagna "ccu nu viaggiu e frasche" (con le fascine di legna sulla testa). CONTINUA... parte 3 La descrizione è tratta dal libro di Pericle e G.B. Maone " Savelli nelle Tradizione e nelle Storia" volume secondo. |
Nota 1) - Giuseppe (Peppino) Gallo: orefice, ottimo artigiano, ingegnoso nel confezionare "succanne", collane, orecchini "a panariellu", a forma di piccoli grappoli d'uva e monili vari.
Nota 2) Circasso: il rivestimento di velluto rosso può essere considerato un richiamo alla moda della Cìrcassia, regione del Caucaso
Ciao Pierino da bambino quando, mi recava a San Giovanni in fiore, ricordo la mia bisnonna, Serafina vestita sempre con il vestito caratteristico da pacchiana
RispondiEliminaRosario
Bellissimo articolo! Grazie, carissimo Pierino
RispondiEliminaGiuseppe
Il fisarmonicista è mio zio Peppino Gallo, fratello di mia nonna Checchina e papà di Chiarina e Gali'(avvocato) Gallo
RispondiEliminaElena S.
Bellissimi ricordi, che bello rivedersi in questa foto.
RispondiEliminaM. S.
Sempre di più,complimenti.Alcune parole forse non le sentivo da più di 50 anni. Ciao 👋
RispondiEliminaSalvatore R.
Bellissime foto e ricostruzione minuziosa delle nostre tradizioni
RispondiElimina. Aspetto il tuo libro da lasciare come testimonianza delle nostre radici ai miei nipoti.
Elena M.
👍 ottima descrizione. In parecchie cose il costume è simile in molti paesi, dal Pollino allo Stretto. Mia madre era tessitrice e sarta (fino al 1965), per cui alcuni vocaboli mi sono molto familiari.
RispondiEliminaCarlo D.
bellissimo nostra identita nel mondo grazie
RispondiEliminaFrancisco Lepera
Belli i Costumi tradizionali che indossavano le nostre nonne. Mi ricordo mia nonna Nicolina e poi tutte le nostre Carissime Compaesane che lo hanno indossato fino a qualche decennio fa. Tonino Arabia
RispondiEliminaMi ricordo Peppino Gallo , mi mandava a comprare due sigarette. Abitavo a dieci metri da casa sua, sono Ciccio Fazio
RispondiEliminaNon sapevo la storia del duce
RispondiEliminaChiara A.